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L’importanza della Fisica che non piace agli studenti: un articolo di Enrico Persico brillante didatta e amico di Fermi

Un articolo di Enrico Persico, brillante didatta (che ha formato molti fisici) e importante fisico teorico dello scorso secolo, pubblicato su Il Giornale di Fisica nel 1956.

Che cos’è che non va?

Perché questa ragazza, che non è stupida, ma che trova tanto difficile descrivere un condensatore, una volta messa sul binario delle formule corre come una locomotiva? Sono sicuro che era in buona fede quando, avendo scritto E=Ri, sosteneva di conoscere la legge di Ohm, ma perché poi non ha saputo calcolare la corrente che scorreva in quella lampadina? E perché non trova nulla di strano nell’inverosimile risultato che ha trovato? E quello sgorbio informe che era stata la stentata risposta alla richiesta di disegnare un elettroscopio a foglie, era proprio dovuto a inesperienza del disegno, come lei sosteneva, o a mancanza di qualsiasi immagine mentale dell’oggetto da disegnare? Il guaio è che questo sarà sì un caso estremo, ma la stessa malattia è diffusissima in quasi tutti i nostri studenti universitari di Fisica e Matematica. È una malattia che ha diversi aspetti, così che è difficile designarla con una sola parola, ma che in sostanza denota un atteggiamento errato e innaturale dell’allievo di fronte alla fisica.

L’aspetto più evidente di questa malattia è uno strano disinteresse per il fenomeno fisico (e ancor di più per le sue applicazioni pratiche) congiunto a una lodevole, ma sproporzionata, attenzione rivolta alla formulazione matematica delle leggi, la quale diventa fine a sé stessa anziché strumento di rappresentazione e di indagine del mondo fisico. […] Vi è poi una inesplicabile difficoltà a descrivere anche il più semplice oggetto o fenomeno, sia con la parola, sia, ancor di più, col disegno. Il disegno (schematico beninteso) che sembrerebbe in molti casi un mezzo spontaneo per aiutare la parola ad esprimere ciò che si ha mente, non viene per lo più nemmeno preso in considerazione dall’esaminando, e ogni invito a servirsene viene considerato come un crudele aggravamento di pena. Si ha l’impressione che il candidato non abbia un’immagine mentale da tradurre in parole, ma piuttosto da ripetere un discorso quanto più fedelmente possibile. E ciò che è più strano è che la maggior parte degli studenti considera facile la parte descrittiva del corso e difficile la parte matematica.

È difficile la Fisica? Se si interroga l’uomo della strana o il medico o l’uomo colto in genere, nove volte su dieci risponde: “Certo, è piena di formule!”. Bisogna invece concludere, a giudicare dagli esami, che per i nostri studenti la Fisica è difficile, ma non a causa delle formule. Probabilmente è difficile perché essi non si accorgono che in essa c’è molto di più delle formule e qualcosa di diverso da esse. Questo “qualcosa”, e cioè il fatto fisico, in molti casi sarebbe facile da comprendere e dovrebbe anche essere pieno di interesse e di fascino per un giovane moderno, in quanto ricollega la Fisica al mondo della natura, della tecnica, della scienza e magari della fantascienza. Invece, molti dei nostri studenti non vedono nella Fisica che una materia scolastica, che poco ha a che fare con il mondo reale: i migliori tra essi ne apprezzano soprattutto l’eleganza della formulazione matematica, ma tengono in dispregio (e talvolta lo dichiarano apertamente) i fatti fisici che quelle formule dovrebbero rappresentare.

Si potrebbe pensare che l’inconveniente che lamentiamo in tanti nostri studenti dipenda da una reale, intrinseca difficoltà dei concetti fisici, sia pure elementari. Ma non credo che sia così. Ho avuto occasione di istruire e di esaminare molti studenti di un altro Paese, che non erano in media né più né meno intelligenti dei nostri ma che avevano, di fronte alla fisica, un atteggiamento del tutto diverso e che mi sembra molto più naturale. Per spiegarmi con un esempio, immaginerò di aver domandato ad uno di quei ragazzi, non tanto ben preparato, le leggi della rifrazione. Egli comincerà col disegnare una vaschetta d’acqua, una lampadina, un raggio incidente e uno rifratto, e poi forse annasperà per ricordare come si fa a calcolare la direzione di questo, data quella del raggio incidente, magari senza riuscirvi. A me sembra che sia sempre meglio che scrivere sin i =nsin r, senza aver una chiara idea del fenomeno a cui questa formula si riferisce. Comunque ciò prova che non è più difficile capire il fenomeno che ricordare la formula.

Si potrà obiettare che l’Italia ha prodotto e produce eccellenti fisici sia teorici che sperimentali (sempre però pochi in rapporto alla popolazione e alla necessità attuali). Ma il nostro discorso non si riferisce alle minoranze (…) si riferisce invece alla media degli studenti, alla gran massa da cui il Paese deve trarre i suoi ingegneri, i suoi professori, i fisici. Si riferisce anche, e soprattutto, a coloro che uscendo dal Liceo non si iscrivono nella Facoltà di Scienze, ma diverranno avvocati o giornalisti o uomini politici e non avranno mai più occasione di sentirsi spiegare che cosa è la Fisica. Essi formeranno la classe dirigente di un mondo sempre più dominato dalle applicazioni della Fisica, ma conserveranno di questa scienza una idea stramba e nebulosa.

Quali sono le cause dello strano atteggiamento di tanti nostri studenti nei riguardi della Fisica? È colpa dei programmi e del famoso abbinamento (riferendosi alla cattedra unita di Matematica e Fisica)? O dipende dal fatto che la matematica accompagna il ragazzo ininterrottamente dalle elementari alla Università mentre si tralasciano i fatti fisici fino al Liceo? È colpa degli insegnanti? O degli insegnanti degli insegnanti? Diteci, per favore, che cos’è che non va?