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Un racconto scritto da Storie Scientifiche per il CREF.

Giuseppe Occhialini, chiamato affettuosamente Beppo, è stato una figura chiave nella fisica del Novecento, arrivando a sfiorare per ben due volte il Premio Nobel. Nato a Fossombrone (nelle Marche) il 5 dicembre del 1907, era figlio d’arte: suo padre, Raffaele Augusto, era un fisico noto per i suoi studi nel campo dell’ottica e per essere stato l’autore di alcuni trattati sulla radioattività.

Beppo si laureò all’Università di Firenze nel 1929 con una tesi sui raggi cosmici; in quegli anni Firenze ospitava un giovanissimo Bruno Rossi, futuro Premio Wolf nel 1987, ed Enrico Persico come insegnante.

Nel 1931 partì per la volta di Cambridge sotto la guida di Patrick Blackett, grazie a una borsa di studio di tre mesi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), per lavorare al prestigioso Cavendish Laboratory, che era diretto da Lord Ernest Rutheford. In Inghilterra inizia a studiare e ad apprendere la tecnica della Camera di Wilson, o camera a nebbia, che è un particolare strumento per la rivelazione di particelle elementari. Insieme a Blackett, Beppo adoperò delle modifiche con delle tecniche che aveva appreso a Firenze da Bruno Rossi: collegò alla camera a nebbia un contatore che era controllato da un circuito di coincidenza e questo scattava se veniva attraversato da fasci di particelle, come ad esempio i raggi cosmici.

La loro collaborazione è subito fruttuosa: scoprirono, qualche tempo dopo Carl Anderson che operava le stesse misure negli USA, le coppie elettrone-positrone, che oltre a confermare l’esistenza dell’antiparticella dell’elettrone, forniva la prima prova dell’esistenza dell’antimateria, predetta da Paul Dirac alcuni anni prima. Nel 1936 Carl Anderson vinse il Nobel “per la sua scoperta del positrone”.

La beffa in realtà è un’altra. Patrick Blackett venne premiato “per il suo sviluppo del metodo della camera a nebbia di Wilson e per le sue scoperte nel campo della fisica nucleare e delle radiazioni cosmiche” con il Nobel per la fisica nel 1948. Occhialini fu il grande escluso dalle assegnazioni; lo stesso Blackett riconobbe il contributo del fisico italiano scrivendogli, mentre era in Svezia a ritirare il premio: “Sarebbe stato giusto tu fossi al mio fianco a Stoccolma”.

Beppo doveva rimanere a Cambridge per tre mesi. Finì per restarci tre anni. Nel 1934 ritorna in Italia ma trova una situazione politica che non gli è molto congeniale. Tre anni più tardi gli viene offerta l’opportunità di trasferirsi nella neonata Università di San Paolo, in Basile. Quando scoppiò il Secondo Conflitto Mondiale il Brasile dichiarò guerra alla Germani e all’Italia; Occhialini divenne uno “straniero nemico” (situazione analoga a quella di Enrico Fermi negli USA) e si rifugiò tra le montagne. Amava l’avventura e non solo quella scientifica: era un grande amante di alpinismo e speleologia avendo una serie di avventure, tra le quali la tragica esplorazione nel 1952 sul Gouffre de la Pierre Saint-Martin, sui monti Pirenei, quando, in una verticale di più di 300 metri di profondità, lo speleologo francese Marcel Loubens perse la vita in un terribile incidente. In Brasile si mantenne facendo la guida. Ancora oggi c’è un picco, di difficile scalata, che omaggia il fisico italiano: il “Pico Occhialini”.

Quando la Guerra finì, Occhialini ritornò in Inghilterra per lavorare al Wills Laboratory di Bristol, iniziando una collaborazione con Cecil Powell. Tra il 1945 e il 1948 iniziò una serie di esperimenti sui raggi cosmici: apportando un’importante modifica alle lastre fotografiche usate per la rilevazione delle particelle: suggerì di aumentare il contenuto di bromuro d’argento all’interno delle lastre e di esporle al Pic du Midi (in Francia). I risultati furono eccezionali. Beppo e Powell scoprirono il mesone Pi (Pione), la famosa particella teorizzata da Yukawa nel 1935, mediatrice dell’interazione forte che tiene uniti protoni e neutroni nei nuclei.

Nel 1950 Powell fu insignito del Nobel per la fisica “per il suo sviluppo del metodo fotografico di studio dei processi nucleari e le sue scoperte riguardanti i mesoni fatta con questo metodo”. Ancora una volta il lavoro di Occhialini non venne preso in considerazione, venendo escluso per la seconda volta.

 

La storia dei Nobel mancati, anche se tanti furono gli onori per Occhialini, è ben sintetizzata da un brindisi di Bruno Pontecorvo (anche lui uno dei grandi esclusi) durante una cena:

“Io non brindo a Beppo, ma a tutti noi: che si abbia la possibilità di collaborare con lui. È un modo certo per vincere un Premio Nobel!”.

Occhialini, oltre che essere un grande fisico, ea anche un grande uomo. Era “un amico di quelli che non ti scordi più”. Tutti gli amici e collaboratori lo ricordano con grande affetto dicendo che era molto bello stare in sua compagnia, nonostante parlasse poco. Ma quando parlava era pungente, seguiva una ferrea logica e spesso metteva in difficoltà i suoi interlocutori.

Il satellite SAX, primo satellite italiano per lo studio dei raggi gamma è stato rinominato Beppo-SAX proprio in suo onore.

In un’intervista di qualche anno fa Emilio del Giudice ricordava così Occhialini:

“Vi posso citare un esempio di un italiano, Giuseppe Occhialini che era professore a Milano che è morto alcuni anni fa, il quale è stato un grande fisico sperimentale, coinvolto in due lavori che hanno avuto il Nobel: la scoperta del Positrone e la scoperta del Mesone Pi, del Pione. Fatti. Secondo lui siccome era antifascista, era esule in Inghilterra, e però esule in modo precario, quindi non poteva essere assunto, lavorava in modo precario in questi laboratori, non poteva pubblicare solo a suo nome, e quindi gli articoli che faceva erano firmati anche dal direttore che è stato Blacket nel ’32 quando ci fu il lavoro del Positrone e Powell nel ’47 quando ci fu il lavoro del Pione.

Entrambi questi lavori vennero premiati con il Nobel che però vennero dati a Blacket e a Powell. Blacket fu abbastanza onesto da dire che lui non c’entrava niente e che il lavoro l’aveva fatto Occhialini. Dopodiché, che cosa si scopre? Si scopre dai documenti della Fondazione Nobel che sul nome Occhialini c’era stato un esplicito veto.”