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Pochi giorni fa è stato pubblicato su Physical Review Research un articolo scientifico che presenta un innovativo approccio dinamico alla legge di Zipf. A questo articolo hanno contribuito il Presidente del CREF, Luciano Pietronero, il direttore scientifico del CREF, Andrea Gabrielli, un dottorando del CREF, Giordano De Marzo e un ricercatore dell’Istituto dei sistemi complessi, Andrea Zaccaria.
La legge di Zipf è una legge di scaling osservata in moltissimi Sistemi Complessi, ad esempio essa è stata riscontrate nella distribuzione delle città, delle imprese e del PIL, ma anche nel linguaggio naturale e molti sistemi naturali, come terremoti e crateri lunari. Dato un insieme di N oggetti e denotando con S (k) la dimensione del k-esimo più grande, la legge di Zipf si scrive come S (k) = S(1)/k^γ dove S (1) è la dimensione dell'oggetto più grande, mentre γ è chiamato esponente di Zipf.
Nonostante l'universalità della legge di Zipf, tutti i sistemi che mostrano questa legge di scaling presentano una caratteristica comune: sono dinamici. Le città esistenti crescono e nuovi insediamenti urbani vengono creati, gli asteroidi colpiscono la Luna ogni giorno, i terremoti si verificano in qualsiasi momento e il linguaggio è in continua evoluzione. Questa osservazione elementare ha forti implicazioni nello studio del problema.
Alcuni sistemi, evolvendo, si discostano sempre di più dalla legge di Zipf; questo comportamento è caratteristico, ad esempio, dei terremoti italiani e delle città del mondo. Al contrario la dinamica di altri sistemi, detta Zipfiana, è tale da rendere costanti o decrescenti le deviazioni dalla legge di Zipf.
Nel primo caso la legge di Zipf può essere osservata solo temporaneamente e quindi diciamo che quei sistemi mostrano la legge di Zipf in modo spurio, mentre nel secondo caso la legge di Zipf è un'attrattore della dinamica e parliamo quindi di sistemi genuinamente Zipfiani.
Questo approccio dinamico ha una serie di applicazioni pratiche e teoriche, per esempio:
• i terremoti possono mostrare la legge di Zipf solo in modo spurio. Usando questa proprietà si può calcolare la magnitudo massima di un terremoto futuro in una data area. Per l'Italia tale magnitudo massima risulta essere circa 7.4;
• si dimostra analiticamente che la dinamica Zipfiana non è additiva, ciò spiega perché la legge di Zipf si osserva considerando le città in una data nazione, ma non tutte le città del mondo.
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Amazon, il colosso delle vendite online fondato da Jeff Bezos nel 1994, è ormai utilizzato da milioni di persone in tutto il mondo. Uno dei punti di forza del sito è la capacità di suggerire agli utenti articoli che potrebbe essere loro interesse acquistare; tale funzione è codificata dall’algoritmo “Item-to-Item Collaborative Filtering”.






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L’obiettivo dell’algoritmo può essere ben riassunto da una frase tratta da un articolo di Smith e Linden, “The test of time”, in cui viene scritto così: “It’s computers helping people help other people, implicity and anonymously”.





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Referenze:


La storia di Bruno Pontecorvo raccontata da Storie Scientifiche per il CREF.
Il 22 agosto del 1913, nella piccola frazione di Marina di Pisa, nasceva Bruno Pontecorvo. La famiglia, di fede ebraica, appartiene alla ricca borghesia, ma è la loro naturale predisposizione alla genialità il vero tesoro. Guido, fratello maggiore di Bruno, diventerà un genetista di fama internazionale; Gillo, il minore, sceglierà la carriera cinematografica, arrivando a vincere un Leone d’oro per il film “La battaglia di Algeri” e ad essere candidato a due premi Oscar nel 1969 per il medesimo. Anche le frequentazioni di casa Pontecorvo sono particolari e stimolanti, ma spiccano due giovanotti che si rincontreranno con il piccolo Bruno qualche tempo dopo. Stiamo parlando di Enrico Fermi e Franco Rasetti Fin da piccolo Bruno si applica con profitto nello studio e nello sport (il suo prediletto rimarrà per sempre il tennis), ma il germe della timidezza si insedierà presto in lui. Egli stesso affermava che i suoi genitori consideravano il fratello Guido il più intelligente dei fratelli, Paolo il più serio, Giuliana la più colta e lui, Bruno, il più buono ma il più limitato, come dimostravano i suoi occhi buoni ma non intelligenti.
A soli 16 anni si diploma al Liceo Classico “Galileo Galilei” di Pisa e decide di iscriversi alla facoltà di Ingegneria, dove supera con merito il biennio. Ma Bruno non ama il disegno e matura la decisione di trasferirsi a fisica. Guido appoggia la sua decisione, ma a una condizione: deve trasferirsi a Roma perché lì ci sono Enrico Fermi e Franco Rasetti. Nell’autunno del 1931, Pontecorvo arriva nella capitale del Regno dove ad attenderlo c’è un’aula e due esaminatori che sono già delle vere e proprie autorità nel campo scientifico: Fermi e Rasetti per l’appunto. Passa brillantemente il test, ma Fermi si lascia andare a un commento, che faceva a ogni suo singolo studente, non proprio benevolo:
“La fisica è una ma, disgraziatamente, oggi i fisici sono divisi in due categorie: i teorici e gli sperimentatori. Se un teorico non possiede straordinarie capacità il suo lavoro non ha senso. Per quanto riguarda la fisica sperimentale, qui esiste la possibilità di un lavoro utile anche per un individuo di capacità medie”.
Bruno, forse, lo considera un avvertimento e decide di gettarsi sulla fisica sperimentale, anche se “da grande” diventerà un fisico a tutto tondo. Si laurea con lode nel 1933, a soli 20 anni ed entra ufficialmente nel gruppo dei Ragazzi di via Panisperna con un soprannome affettuoso: il Cucciolo. Pontecorvo non apparirà però nella famosa foto che ritrae i cinque Ragazzi ma, più tardi, ammetterà: “Spesso mi chiedono dove sono. Io ho fatto la foto!”.
Il suo nome emergerà, pe la primissima volta, in un articolo nella rivista “La Ricerca Scientifica” dopo aver partecipato ai famosi esperimenti in cui si bombardavano i nuclei atomici con i neutroni lenti.
Nel 1936 Pontecorvo vince una borsa di studio per un soggiorno di 6 mesi all’estero e, su consiglio di Fermi, sceglie di andare all’Institut du Radium, a Parigi, per lavorare con i neovincitori del Nobel Frédéric e Irène Joliot-Curie. In questo periodo matura in lui un forte ideale politico, alimentato anche da Frédéric (che apparteneva alla Resistenza francese) e al cugino Emilio Sereni (esule antifascista e futuro parlamentare col Partito Comunista Italiano). La sua permanenza doveva essere di soli 6 mesi, ma gli viene data l’opportunità di rimanere con rinnovi di contratto di sei mesi in sei mesi fino al dicembre ’39, pochi mesi dopo l’entrata in guerra della Francia. Per le sue idee politiche e per la promulgazione delle leggi razziali, non può far ritorno in Italia. Il 13 giugno del 1940, fuggendo da una Parigi assediata dai nazisti, riesce a fuggire e a raggiungere gli Stati Uniti.
Grazie a Segrè e Fermi, riesce a trovare un lavoro per una compagnia petrolifera a Tulsa, Oklahoma. Qui, basandosi sulla tecnica del rallentamento dei neutroni assimilata a Roma, sviluppa un’ingegnosa tecnica per la rivelazione dei pozzi petroliferi, il così detto carotaggio neutronico. Negli anni della Seconda Guerra, gli Stati Uniti iniziano la corsa agli armamenti inaugurando il Progetto Manhattan ma Pontecorvo, probabilmente per le sue idee filocomunista, non viene arruolato. Chi lo chiama invece è il Canada, presso il laboratorio di Chalk River. Durante il periodo bellico il suo maggiore impegno riguarda la costruzione del reattore nucleare ad acqua pesante e tutte le problematiche legate alla sua progettazione.
Il periodo canadese è per Pontecorvo un’inesauribile fonte di ispirazione: matura alcune intuizioni geniali sulla fisica delle particelle elementari. Mette a punto un metodo radiochimico per la cattura dei neutrini solari; la tecnica non è perfetta ma getta importanti basi per l’esperimento, effettuato negli anni Sessanta, della definitiva cattura e stima del numero di neutrini solari.
Fra il 1944/45, Conversi, Pancini e Piccioni svolgono il famoso esperimento a Roma identificarono una nuova particella, circa duecento volte più pesante dell’elettrone, il muone. Questa particela ha come prodotto di decadimento solamente un elettrone, che non presentava un’energia ben definita ma assortita in un intervallo continuo; questo significava che il muone si divideva in un elettrone e, almeno, in altre due particelle neutre, invisibili alle strumentazioni.
Pontecorvo dedusse che la cattura del muone da parte del nucleo atomico, proprio come la cattura dell’elettrone, produce neutrini (la misteriosa particella predetta negli anni Trenta da Wolfgang Pauli per spiegare lo spettro del decadimento β). Scopre che l’interazione debole, scoperta da Fermi, ha un carattere molto più generale di quanto si pensasse. Ipotizzò inoltre che questi due neutrini fossero di natura diversa: uno legato al muone primario, l’altro legato all’elettrone. Pontecorvo si impone come uno dei massimi esperti mondiali sulla fisica del neutrino. Nel dopoguerra viene corteggiato da numerose università, compresa quella di Pisa, ma rifiuta tutte le offerte. Nell’estate del 1950, dopo aver festeggiato il compleanno in famiglia e senza avvertire nessuno, prende un volo per Stoccolma e da qui si sposta verso Helsinki La decisione è stata presa, Bruno attraversa la Cortina di Ferro e nascosto in un bagagliaio di un’auto raggiunge Leningrado, poi un ultimo viaggio in treno per raggiungere Mosca. Pontecorvo ha abbandonato l’Occidente ed è entrato in Unione Sovietica. La notizia desta un grande clamore e i giornali italiani titolano “Fuga a Mosca di uno scienziato atomico”, avanzando l’ipotesi (completamente priva di fondamento) che Pontecorvo abbia portato in dono a Stalin le sue competenze, e i suoi segreti, per costruire la bomba atomica. Per cinque anni nessuno in Occidente ha più sue notizie. Solamente nel febbraio del 1955 appare la sua prima dichiarazione sul Pravda, l’organo di stampa del Partito Sovietico.
 
Intanto Bruno si è trasferito a Dubna, nella famosa città atomica. La sua fama di ex studente di Fermi e la sua genialità lo precedono: tutti sono entusiasti di lavorare con lui. Viene messo a capo della divisione di fisica sperimentale del Laboratorio dei Problemi Nucleari, dove iniziano a prendere forma alcune delle sue idee più brillanti. Nel 1959 pubblica un lavoro (Neutrini elettronici e muonici) dove ipotizza l’esistenza di tre tipi di neutrini le cui proprietà sono rilevabili. Nasce la fisica dei neutrini ad alta energia. L’acceleratore di Dubna, nonostante fosse il più grande del tempo, non raggiungeva energie sufficientemente alte per dimostrare la sua ipotesi. Solamente qualche anno dopo (inizi degli anni Settanta), gli americani Ledermann, Schwartz e Steinberger confermarono sperimentalmente la teoria del fisico italiano. I tre vinsero il Premio Nobel per la fisica nel 1988 “per il metodo del fascio di neutrini e la dimostrazione della struttura doppia dei leptoni attraverso la scoperta del neutrino muonico.” Pontecorvo fu il grandissimo escluso e la comunità scientifica insorse, d’altronde fu lui che per primo effettuò ne effettuò la previsione.
Tra il 1957 e il 1967 Pontecorvo lavora sulla teoria del mescolamento leptonico. In grande sostanza i leptoni sono particelle elementari suddivise in tre famiglie: elettroni, muoni e tauoni. A ognuno di questa famiglia è associata un neutrino di diversa natura (il neutrino elettronico νe e il neutrino muonico νμ ed il terzo, il neutrino tauonico ντ fu teorizzato negli anni Settanta e osservato sperimentalmente nel 2000). La teoria elaborata da Pontecorvo afferma che i diversi neutrini nel vuoto possono trasformarsi gli uni negli altri. Questo fenomeno è detto oscillazione dei neutrini. Una notevole e importante conseguenza di questa teoria è che i neutrini siano dotati di massa. Questo fatto fu per la prima volta verificato per i neturini solari nel 1968; successivamente fu parzialmente confermato, tramite l’esperimento Super-Kamiokande, e confermato nel 2010 dagli esperimenti svolti nei Laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso.
 
Solamente nel 1978 Pontecorvo rientra in Italia, in occasione del settantesimo compleanno di Edoardo Amaldi. Comparvero già i primi sintomi del morbo di Parkinson, che non però non lo privò mai della lucidità mentale. Durante una delle sue ultime interviste, alla domanda se si fosse pentito della scelta di andare in URSS, Pontecorvo rispose:
 
“Ci ho pensato molto ma non riesco a dare una risposta. Io credo di essere sempre stato una persona per bene, anche se alle volte forse ho fatto delle scelte sbagliate. Ma cosa è più importante, fare le scelte giuste o essere una persona per bene?”.
 
Si spense a Dubna il 24 settembre del 1993.
 
Grazie alle sue intuizioni geniali, e ai suoi metodi di indagine, sono stati assegnati ben quattro Premi Nobel (1988, 1995, 2002, 2015).
 
Un aneddoto per raccontare la personalità di Enrico Fermi, scritto da Storie Scientifiche per il Centro Ricerche Enrico Fermi.
Benito Mussolini nel 1929 fondò un’istituzione culturale, l’Accademia d’Italia, con il compito di oscurare l’Accademia dei Lincei, perché pensava che molti dei suoi membri fossero in opposizione con il regime fascista. Ai membri di questa nuova istituzione, selezionati direttamente da Mussolini, venivano dati un cospicuo assegno, una splendida uniforme e il titolo di Eccellenza.
Enrico Fermi fu il solo fisico scelto nella prima tornata di assegnazioni, nonostante la sua giovane età e gli inesistenti meriti fascisti. Fermi, infatti, era un oppositore implicito del regime, si occupava poco o nulla di politica perché destinava tutte le sue energie alla ricerca scientifica.
Dopo la sua nomina all’Accademia d’Italia, entrò a far parte dell’élite del Fascismo ma cercava di limitare il più possibile la sua presenza ad eventi pubblici. Quando nel 1930 il principe ereditario, Umberto II di Savoia, convolò a nozze, furono invitate le più alte cariche dello Stato. A Roma furono bloccate e presediate numerose strade, tra cui via Nazionale che bisognava attraversare per recarsi all’Istituto di fisica.
Fermi viaggiava in una piccola Peugeot gialla e indossava un anonimo abito grigio, invece che la sua sfarzosa divisa d’accademico, e si ritrovò bloccato dalle forze dell’ordine. Ricordandosi di aver in tasca il suo invito alle nozze, lo mostrò ad un ufficiale dicendo:
“Sono l’autista di Sua Eccellenza Enrico Fermi e devo andarlo a prendere. Posso passare?”
(Emilio Segrè- Enrico Fermi, fisico. Una biografia scientifica)
 
L’Italia investe in ricerca e sviluppo circa lo 0,5% del PIL (0,32% per la ricerca di base e 0,18% per la ricerca applicata), una percentuale tendenzialmente inferiore rispetto agli altri paesi europei. Next Generation Eu, quindi, si presenta come una ghiotta opportunità.
Dei 209 miliardi che l’Italia riceverà dall’Ue, 11,7 sono stati stanziati per la ricerca e spendibili in cinque anni. Il piano avrà due linee principali, una finanziata con oltre 7 miliardi di euro che comprende sostegno a progetti di ricerca e finanziamenti per infrastrutture. L’altra da quasi 4,5 miliardi di euro, sosterrà la creazione di nuovi centri per la ricerca applicata.
Per la comunità scientifica “Next Generation Italia” come ogni grande occasione va sfruttata al meglio. Lo scorso ottobre, e di nuovo all'inizio di gennaio, un gruppo di scienziati di alto profilo ha scritto al Presidente Giuseppe Conte consigliando l'uso dei fondi europei al fine di aumentare di 15 miliardi di euro il budget per la ricerca pubblica nei prossimi cinque anni.
Il suggerimento è quello di portare l’investimento in ricerca all’1,1% del PIL dando priorità alla ricerca di base, poco considerata rispetto all’ambito della ricerca applicata dal piano governativo.
Un’altra prospettiva della quale tenere conto è di riuscire a trasferire il surplus economico impiegato nella ricerca a favore dello sviluppo generale del paese. Secondo Luciano Pietronero, Presidente del Centro Ricerche Enrico Fermi e fisico impegnato nello sviluppo di crescita economica, per rilanciare la competitività italiana si deve scommettere sul Sud.
Non solo, quindi, bisogna stare attenti al fatto che la ricerca produca sviluppo economico, ma anche che questo stesso sviluppo si collochi strategicamente nel territorio, costruendo industrie e startup dove è più utile ai fini della crescita complessiva del paese.
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Durante un seminario tenutosi nel 1958, Giulio Racah, noto fisico fiorentino, ricordò l’episodio chiave che portò alla costruzione di un primo calcolatore elettronico. Il protagonista di quel racconto era Enrico Fermi. Nel 1954, durante un corso di fisica internazionale tenutosi a Varenna, tre eminenti fisici italiani, Gilberto Bernardini, Marcello Conversi e Giorgio Salvini, discutendo con Fermi, gli chiesero consiglio su come investire al meglio, ai fini della ricerca, una cospicua somma pari a 2,2 milioni di euro di oggi.
La risposta di Fermi, ufficializzata successivamente anche al rettore, fu: “Fate un calcolatore elettronico”. Da quel suggerimento nacque la CEP, calcolatrice elettronica pisana. Fu una scelta che si rivelò di notevole importanza per lo sviluppo della ricerca scientifica italiana.
I primi calcolatori elettronici moderni risalgono alla fine degli anni ’40, frutto della ricerca inglese e statunitense. In Italia solo nel 1954 furono acquistati i primi due calcolatori di produzione estera: a Milano dal Politecnico e a Roma dall’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo.
Nello stesso anno anche a Pisa, data la disponibilità di un rilevante contributo finanziario da parte delle province e i comuni di Pisa, Livorno e Lucca, grazie al consiglio di Fermi, iniziò l’impresa di progettare e costruire una macchina calcolatrice.
Quella di costruirla, più che una scelta, fu una necessità perché somma di cui disponeva l’Università di Pisa era consistente ma non a tal punto da permettere l’acquisto di una moderna calcolatrice elettronica per ricerche scientifiche. L’idea infusa da Fermi nell’importanza di possedere un calcolatore elettronico e la motivazione dei fisici pisani portò alla prima macchina di questo tipo di fattura italiana. A questo scopo fu richiesta anche la collaborazione di altri enti di ricerca e di aziende, trovando il supporto dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e della Società Olivetti.
#cep #calcolatorelettronico #pisa #enricofermi #infn #olivetti #cref
Questa mattina sul Fatto Quotidiano è stato pubblicato un articolo del dirigente di ricerca del Cref, Francesco Sylos Labini, che ricorda la storia dei ragazzi di Via Panisperna e della loro storica palazzina, oggi adibita a museo.
Nell’articolo viene ripercorsa brevemente la storia recente dell’Istituto di Ricerca. Dal 1999, anno in cui fu approvata all’unanimità su proposta di Athos De Luca la legge che prevedeva l’istituzione del Centro Ricerche Enrico Fermi, fino al ristabilimento nella storica sede dell’Istituto e alla nomina di Luciano Pietronero come Presidente.
Solo 20 anni dopo il Cref è riuscito a tornare a casa, all’interno della storica palazzina di Via Panisperna, che poco meno di un secolo fa ospitava Enrico Fermi e i suoi straordinari giovani collaboratori. L’Istituto si prepara a diventare un punto di riferimento a livello nazionale per la ricerca e la divulgazione scientifica.
Oggi all’interno della palazzina è stato allestito anche un museo per celebrare le azioni di Fermi e di quello storico gruppo, che insieme hanno fatto la storia della Fisica italiana.
Il racconto di Giulio Cortini scritto da Storie Scientifiche per il CREF. La storia di una grande figura del Novecento italiano, dall’impegno come artificiere nella Resistenza agli studi sull’antiprotone.
Giulio Cortini nasce il Primo dicembre del 1918 a Roma. Suo padre è un avvocato e desidera per il figlio una laurea in legge che gli consentisse di portare avanti lo studio legale, già ben avviato di famiglia. Il giovane Giulio però sceglie un’altra strada, poco battuta in quegli anni: si iscrive al Corso di Laurea in Fisica all’Università di Roma. È una scelta che in pochi capivano, perché quella professione è legata indissolubilmente all’idea di insegnamento (soprattutto nelle scuole secondarie) e non al concetto di ricerca scientifica.
Se il numero di iscritti nel suo anno da matricola era da considerare quasi irrilevante (erano in totale tre studenti) la qualità dei professori a Roma era molto alta. C’era Edoardo Amaldi, che dal 1938 era titolare della cattedra di Fisica Generale e che mantenne per i successivi 41 anni; c’era Francesco Severi per il corso di Analisi Matematica e c’era Giancarlo Wick che teneva un corso di Fisica teorica avanzata. Subito dopo la fine del conflitto mondiale arrivò a Roma anche Gilberto Bernardini che fu una figura chiave, insieme ad Amaldi, per la ripresa della Fisica in Italia.
Wick era diventato assistente di Fermi nel 1932 e diede importanti contributi, tra i quali citiamo il calcolo del momento magnetico della molecola di idrogeno e l’introduzione del Teorema di Wick che è uno strumento particolarmente utile nella Teoria Quantistica dei Campi. Cortini scelse lui come relatore della sua tesi e si laureò con lode nel 1942, mentre prestava servizio militare col grado di sottotenente.
Il 21 maggio del 1943 fu arrestato durante un pranzo in famiglia, perché considerato vicini agli ambienti della Resistenza, e fu condotto a Regina Coeli. Dopo un paio di mesi ci fu la caduta di Mussolini e un’ondata di gente iniziò a manifestare contro il regime fascista chiedendo la liberazione dei detenuti; due giorni dopo Cortini fu rilasciato. Uscito di galera, i capi della Resistenza romana lo scelsero come artificiere perché sapevano che era laureato in fisica. Ovviamente Cortini, per sua stessa ammissione, disse di essere un ignorante totale in materia e che acquisì alcune nozioni da un manuale dell’Hoepli, intitolato “Le mine”.  Durante questo periodo costruì vari ordigni esplosivi, tra cui quello esploso nell’attentato di via Rasella contro un reparto di forze tedesche che occupavano la città.
Fin dall’inizio della sua attività di ricerca fece parte di un gruppo, diretto da Amaldi, che studiò le evaporazioni nucleari prodotte dai raggi cosmici tramite la tecnica delle emulsioni nucleari, che era una tecnica del tutto nuova in quegli anni per Roma. Il modo in cui si misurò con questo nuovo metodo fu abbastanza singolare. Amaldi e Wick vennero a conoscenza della tecnica delle emulsioni nucleari, ma nessuno a Roma era competente in questo ambito di ricerca; decisero dunque di affidare questo compito a Cortini: “Tu occupati della lastre nucleari!”. Ma Cortini era un neofita e sviluppò la sua esperienza prima con Pancini e successivamente da autodidatta. Con un assegno di ricerca della durata di un anno, si traferì a Bruxelles dove trovò in Giuseppe Occhialini un nuovo maestro capace di indirizzarlo verso nuove tecniche per lo studio dei raggi cosmici.
È proprio all’Istituto di Roma che ottenne il suo risultato più importante. A Berkeley nel 1955 un gruppo di eminenti fisici, capitanati da Emilio Segrè e Owen Chamberlain, avevano predisposto un efficace esperimento per individuare l’antiprotone (l’antiparticella del protone). Questo esperimento valse loro il Premio Nobel nel 1959. Nello stesso tempo, In Italia si stavano esponendo ai raggi cosmici in alta quota alcune lastre nucleari. In particolare, in una delle lastre lanciate in un aeroporto vicino Cagliari nel 1953, si registrò l’annichilazione di una particella.
Si trattava di un antiprotone proveniente dai raggi cosmici? Il forte sospetto, sostenuto anche da Bruno Touschek (vista l’assenza di Amaldi a Roma in quel periodo), era che si trattasse di un fenomeno di annichilazione tra antiprotone e protone con la formazione di prodotti di evaporazioni corrispondenti ad un’energia di 2GeV. Questa osservazione fu chiamata “Evento Faustina”. Il problema principale era di verificare se effettivamente ci fosse questa grande produzione di energia. Il grande merito di Cortini fu quello di sviluppare una tecnica innovativa per la valutazione dell’energia di una particella in volo che passa attraverso più lastre. Dopo il ritorno di Amaldi a Roma, il gruppo pubblicò l’articolo dal titolo “Unusual event in cosmic rays” dove proposero i loro risultati. Grazie al suo prestigio, Amaldi intrattenne frequenti rapporti con il gruppo di Berkeley per cercare di unire i risultati, come si evince da questo estratto di una lettera del 29 marzo 1955 indirizzata a Segrè:
La mia proposta è però assai concreta e precisa. Ti mando a parte il prepint di un lavoro apparso nel Nuovo Cimento di marzo con la preghiera di leggerlo attentamente. Come vedrai c’è una buona probabilità che abbiamo osservato un antiprotone (l’evento viene chiamato Faustina ovverossia uno strano incidente). (…) Ora la mia proposta è la seguente: ci mettiamo d’accordo per lettera e voi montate l’esperienza e fate gli irraggiamenti…noi facciamo lo sviluppo. Il lavoro viene pubblicato insieme se viene fuori qualcosa che valga la pena.”
Nessuno meglio di Cortini può dirci come andò a finire:
Loro ci mandarono delle lastre che avevano esposto al fascio di antiprotoni prodotti dalla loro macchina che era entrata in funzione da poco e noi vi trovammo il primo evento del tipo Faustina: telegramma, congratulazioni. Ma naturalmente il prestigio di questo nuovo risultato, e di quelli che seguirono, rimase in gran parte loro.”
Solamente un anno dopo, nel 1956, Gilberto Bernardini propose all’Accademia Nazionale dei Lincei il conferimento del Premio Feltrinelli per la Fisica agli scopritori dell’antiprotone elencandoli in ordine alfabetico: Owen Chamberlain, Giulio Cortini, Emilio Segrè.
Bibliografia:
Guerra, B. Preziosi, “Ricordo di Giulio Cortini”, Il Nuovo Saggiatore - https://www.ilnuovosaggiatore.sif.it/download/34
https://agenda.infn.it/event/2016/attachments/26986/30967/antiprotone.pdf (per la lettera di Amaldi).
Maestri e allievi nella fisica italiana del Novecento - Luisa Bonolis.